Sul regolamento dei compensi professionali spettanti all’avvocato pubblico. Contiene una bella disamina sia agli effetti dell’imposta IRAP, che sul concetto di “sentenza favorevole” utilizzato dalla norma di legge (art. 9, DL 90/2014), e su cui spesso il MEF si “incarta”..
E’ stata ritenuta fondata la censura relativa alla decisione del Comune di negare la liquidazione dei “compensi professionali derivanti da provvedimenti giurisdizionali intestati quali “decreti” od “ordinanze”, sulla base di quanto previsto dagli artt. 16, 17 e 18 del regolamento 341/2017”, nella parte in cui contiene il riferimento alle “sentenze”, senza ulteriori specificazioni in merito, ritenendola armonica con l’art. 9 del DL 90/2014 che, a sua volta, subordina la ripartizione delle spese legali recuperate all’eventualità di una “sentenza favorevole”.
L’utilizzo di detta terminologia non può essere interpretata nel senso di circoscrivere le ipotesi di liquidazione degli onorari ai soli provvedimenti intestati come “sentenza”, quanto piuttosto stabilire una correlazione tra che la liquidazione dei suddetti compensi ed un provvedimento che definisce il giudizio e contenga un’espressa statuizione di condanna per le spese legali a carico delle controparti.
Ne consegue che malgrado l’art. 9 del DL 90(2014, così come le disposizioni regolamentari impugnate, non definiscono cosa debba intendersi per “sentenza favorevole“, è altrettanto evidente come con detta locuzione si sia inteso far riferimento a provvedimenti che definiscono in via definitiva il contenzioso, senza quindi che abbia rilievo la conclusione di una sua fase meramente interinale o provvisoria.
Come hanno evidenziato precedenti pronunce “le ragioni che possono condurre ad uno degli epiloghi processuali che, secondo il Regolamento, non danno diritto alle propine sono molteplici e normalmente dipendenti da fattori del tutto estranei rispetto alla modalità di svolgimento dell’attività professionale degli avvocati interni: nella maggior parte dei casi contemplati dalla norma regolamentare l’ente pubblico consegue, inoltre, un vantaggio dalla definizione del processo con una delle suddette formule. Gli accordi transattivi comportano sempre un vantaggio per l’ente in relazione alle pretese originariamente azionate dalla controparte: essi sono deliberati dagli organi di vertice della Provincia nell’esercizio di facoltà discrezionali che, alle volte, rispondono a valutazioni che esulano dalla disponibilità e competenze dell’Avvocatura, la quale però, secondo il Regolamento, verrebbe a subirne conseguenze pregiudizievoli in termini di mancata percezione del compenso. Anche le pronunce con cui si dichiara l’estinzione del giudizio per perenzione, rinuncia al ricorso o altro (es. inattività delle parti per mancata prosecuzione o riassunzione del processo sospeso o interrotto) comportano sempre una definizione della vertenza in senso favorevole all’Amministrazione, poiché accomunate dalla circostanza che, in tali casi, il ricorrente ha desistito dal ricorso. Dette pronunce di rito presuppongono, inoltre, l’espletamento di un’attività da parte del legale dell’ente e nulla esclude che la scelta del privato di non coltivare il giudizio sino a lasciarlo estinguere, sia diretta conseguenza proprio dell’attività difensiva posta in essere dall’avvocatura pubblica, sicché, escludere in detti casi, il diritto al compenso accessorio appare irragionevole e contraddittorio, oltre che in contrasto con la norme collettive e, dunque, con l’art. 45 del D.lgs. n. 165 del 2001. La stessa pronuncia di cessazione della materia del contendere, che si ha quando nel corso del giudizio l’Amministrazione provvede in senso favorevole al ricorrente (ad es. rilasciando il provvedimento originariamente negato o ritirando in autotutela l’atto impugnato) presuppone, il più delle volte, l’espletamento di una consulenza legale da parte del difensore dell’ente e può finanche arrecare un vantaggio economico alla P.A., ad es. escludendo o limitando una sua possibile condanna al pagamento delle spese di lite o al risarcimento del danno (il vantaggio per l’Amministrazione è in tal caso indiretto e si apprezza sotto forma di risparmio di spesa): la sua indiscriminata sottrazione dal diritto a ogni forma di compenso accessorio appare, pertanto, irragionevole (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 16.10.2014, n. 2543)”.
Si consideri, peraltro, che nel nostro ordinamento sussistano procedimenti che si concludono con un’ordinanza (si pensi ai giudizi in materia di immigrazione di cui all’ ex art. 44 del D.lgs. 286/1998 o, ancora, i giudizi instaurati ex art. 669 bis e ss. (“procedimento cautelare uniforme”) o ex art. 702 bis c.p.c. (“giudizio sommario di cognizione”).
Conclude il TAR, “Dette circostanze confermano allora che il termine “sentenza favorevole” di cui all’art. 9 del D.L. 90/2014, lungi dall’essere interpretato in senso restrittivo che come provvedimento giurisdizionale assunto in pubblica udienza, deve essere inquadrato nell’ambito di una qualunque “pronuncia favorevole” che concluda definitivamente una controversia in un determinato grado di giudizio“.